Mercoledì 10 luglio l’INVALSI ha presentato i risultati delle prove di Matematica, Italiano e Inglese che si sono svolte nell’anno scolastico 2018/19. Il giorno successivo, tutti i giornali, le trasmissioni radio e televisive e i forum degli insegnanti si sono riempiti di commenti e discussioni, per la maggior parte focalizzati sugli aspetti critici messi in luce dalle prove: il divario tra Sud e Nord, l’alta percentuale di studenti che non dimostrano competenze fondamentali, il livello nelle prove di Inglese…
Ormai, la validità delle prove e dei metodi utilizzati per elaborare e analizzare i risultati non viene messa in dubbio quasi più da nessuno. Molti commentatori hanno obiettato che da anni l’INVALSI non fa altro che presentare una situazione che ormai è ben conosciuta, senza indicare possibili soluzioni ai problemi.
L’Istituto ha sempre risposto che il suo compito è quello di fornire dati e informazioni ai responsabili del sistema (il MIUR e i decisori politici) e agli operatori sul campo (gli insegnanti e i dirigenti) affinché questi possano studiare e scegliere le azioni più opportune. La cosa importante, per noi insegnanti e ricercatori, è quindi capire come utilizzare al meglio queste informazioni, per intervenire nel nostro contesto di classe e migliorare l’efficacia del nostro lavoro.
Va detto, inoltre, che anche se la situazione è per certi versi molto chiara (anche per merito del lavoro svolto dall’INVALSI in questi anni), è importantissimo continuare ad acquisire queste informazioni, in maniera sempre più dettagliata.
Fare esami clinici periodici e sempre più approfonditi è importante anche (e soprattutto) quando il malato è cronico, come appare essere in certi aspetti la scuola italiana.
Che indicazioni importanti può trarre un insegnante, da questi risultati? Dobbiamo subito dire che ai decisori politici e all’opinione pubblica interessano i macrodati di sistema, mentre all’insegnante interessa molto di più entrare nel merito di cosa è stato chiesto ai ragazzi, quali domande sono state poste e come gli allievi hanno saputo rispondere a quelle specifiche domande. Interessano quindi dati puntuali, analitici su quei “pezzi” del percorso di Matematica che rappresentano criticità, su quali punti di forza sono stati acquisiti, su come gli apprendimenti si consolidano in competenze.
Il fatto nuovo più importante, che completa il quadro, è che quest’anno per la prima volta abbiamo anche i risultati della prova somministrata agli studenti dell’ultimo anno di scuola secondaria. Per la Matematica, l’approccio dell’INVALSI è stato (coerentemente con gli obiettivi istituzionali) di continuità con le prove dei gradi precedenti: in che misura gli ultimi anni del percorso scolastico contribuiscono a mantenere, rafforzare e arricchire le competenze matematiche fondamentali? Non sono prove mirate a verificare contenuti molto specifici, peraltro diversi da indirizzo a indirizzo. Non era, in definitiva, una prova liceoscientificocentrica, se non in minima parte.
Come già per le prove degli altri gradi, allo studente viene restituito un livello, descritto attraverso le domande e le consegne a cui è in grado di rispondere correttamente. Le descrizioni analitiche dei livelli e le domande che li esemplificano – documenti che l’INVALSI ha già rilasciato lo scorso anno e che rilascerà anche per la prova dell’ultimo anno – sono uno strumento di lavoro prezioso. Permetteranno all’insegnante di avere un profilo, in termini di competenze acquisite, dei propri studenti e della propria classe. Aiuteranno a focalizzare l’azione didattica, sia per quanto riguarda i contenuti, sia per quanto riguarda i processi messi in campo dagli allievi. Saranno uno strumento anche per interpretare i traguardi di competenze previsti nelle Indicazioni Nazionali e più in generale gli obiettivi dei percorsi.
Al di là del clamore mediatico, forse un po’ morboso, suscitato dalle “classifiche” (ma bisogna sempre ricordare che lo scopo della valutazione NON è fare dei ranking, è quello di fornire informazioni!), l’appuntamento importante per gli insegnanti è quello con il dato concreto delle consegne poste agli allievi e con le situazioni attraverso le quali è stata osservata la loro competenza. Su questo si gioca l’opportunità che lo sforzo messo in campo per realizzare le prove abbia ricadute concrete, locali, sulla scuola vissuta. Che la diagnosi, in definitiva, possa servire per una cura, o meglio ancora per una prevenzione.