La convergenza tra scienza e tecnologia per una didattica fatta di ricerca, esperienze e prototipazioni
Cosa significa STEM? Se la risposta è che si tratta della somma delle materie di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, allora è la risposta sbagliata.
Quando negli USA l’Amministrazione Obama lanciò la campagna educativa STEM, intendeva rafforzare le materie scientifiche e tecnologiche per renderle più attraenti, convinta che chi primeggerà nel campo scientifico-tecnologico contribuirà a dare forma al mondo di domani e risolvere i problemi individuali e collettivi, locali e globali, che investono la nostra convivenza ipercomplessa. Ma quello che voleva promuovere era anzitutto un approccio all’insegnamento/apprendimento, in cui fosse dato maggior spazio al pensiero critico (porsi domande, non dare per scontato), a quello creativo (immaginare alternative e guardare da più punti di vista) e a quello performativo (tradurre i pensieri in azioni con impatto reale e costruttivo). Con l’obiettivo di creare i problem-solvers di domani.
Una questione di mentalità e di metodo prima che di contenuti.
E’ il metodo scientifico il cuore dell’approccio STEM. In senso stretto: domanda, osservazione, ipotesi, sperimentazione, misurazione, formalizzazione, confronto pubblico e continuo. In senso lato: apertura curiosa verso il reale, dubbio verso ogni autorità o status quo, critica verso tutti i dogmatismi, tolleranza verso ogni posizione purché supportata da argomenti razionali.
Così come per la scienza non basta dichiarare, ma occorre dimostrare e saper fare, anche nella didattica che si ispiri all’approccio STEM non basta leggere e ripetere, ma bisogna mettere le mani in pasta e mostrare risultati: se i ragazzi non provano in prima persona, se non si mettono in gioco, a partire da un problema e sulla base di ipotesi risolutive, con dei risultati visibili, come possiamo affermare che sono davvero capaci di fare qualcosa? Se sanno le cose, ma non sanno metterle in pratica, come possiamo parlare di apprendimento autentico?
Attivare gli studenti: Problemi, Compiti, Progetti attraverso il Lesson plan 3H
Le forme di attività che un docente deve avere ben chiare in testa quando programma e che consentono questo intreccio tra Know-what e Know-how sono sostanzialmente di tre tipi:
a) Problemi: un Problem è qualcosa che non si capisce bene e che occorre risolvere (es. come funziona il volo di un elicottero?)
b) Compiti: un Task è qualcosa che si deve fare per raggiungere un certo risultato o adempiere ad un certo ruolo (es. dibattere sui diritti civili o simulare la gabbia di Faraday)
c) Progetti: un Project è un percorso di ideazione e realizzazione che conduce a un certo prodotto (es. realizzare un prototipo di stazione climatica).
Se al centro sta il problema o il compito o il progetto, allora il contenuto di una disciplina diviene un mezzo più che un fine e si possono superare gli steccati che troppo spesso bloccano l’interdisciplinarità. Poiché spesso le buone idee rimangono tali perché nel tentare di metterle in pratica non si adottano passaggi e strumenti giusti, suggeriamo un format semplice ed efficace per impostare lezioni/attività STEM, seguendo tre fasi fondamentali:
1. Heart: la fase di engagement, dove i docenti devono catturare l’attenzione dei ragazzi e proporre loro l’attività, lanciandola come una sfida insieme cognitiva e pratica
2. Hands: la fase di exploration and elaboration, in cui gli studenti svolgono il compito/progetto, solitamente divisi in gruppi, cercando di seguire i passaggi essenziali del metodo scientifico e utilizzando applicazioni tecnico-ingegneristiche, in modo da giungere a prodotti visibili verso cui i ragazzi siano attratti e di cui alla fine siano orgogliosi, perché creati da loro
3. Head: la fase di Lecture, ovvero la lezione di sistematizzazione di quanto fatto fare agli studenti, elevandoli ad un quadro concettuale più generale, riservando un tempo alla presentazione e rielaborazione dei risultati da testare e valutare.
Studenti con più responsabilità, coordinatori con più collaborazione, dirigenti con più attrattiva
Come si diceva scherzosamente un tempo, il modello STEM “è scienza, non fantascienza”. Ovvero è realizzabile qui ed ora, non è qualcosa che solo contesti avanzatissimi possono rendere effettivo. Ma a ognuno il suo.
Agli studenti va data più autonomia e richiesta maggiore intraprendenza.
Ai docenti e ai coordinatori vanno assegnati tempi, spazi e risorse per progettare in gruppo e va richiesta una didattica meno frontale.
Ai dirigenti spetta il compito di creare le condizioni per rendere possibile attivazione e interdisciplinarità, affinché non dipendano solo dalla buona volontà dei singoli.
L’esito finale sarà una scuola di grande richiamo, a cui ragazzi e famiglie saranno onorati di appartenere. Non è un’affermazione retorica, ma è esattamente quello che dicono di sé le scuole che ci hanno provato sul serio.
Scienza, non fantascienza.
Nel webinar “Didattica STEM” del 12 ottobre prossimo ci confronteremo proprio su questo, per capire cosa sia l’approccio STEM e come realizzarlo, partendo da esempi concreti.
Sarete poi invitati ad un successivo corso online in cui verranno trattati con grande profondità tutti gli aspetti della didattica STEM, dalla strategia generale, all’organizzazione curricolare, alla progettazione e pianificazione didattica, fino ad esempi concreti di lesson plan e attività da mettere in pratica subito, per chiudere con testimonianze di grande ispirazione, dal mondo della ricerca e delle professioni.
Iscrivetevi subito, vi aspettiamo: https://bit.ly/3C3smS5